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Tutti sanno, tutti zitti: un’analisi sulle condizioni di vita in Italia

Da qualche giorno sui giornali, nei tg, nei talk show televisivi, la domanda che tutti si stanno ponendo è: “Cosa succederà ora che riscende, per l’ennesima volta, in campo Berlusconi?”, “Il Pd come si comporterà? Riuscirà a vincere ma soprattutto a governare il Paese?”, “Quale sarà il ruolo di Mario Monti nel prossimo futuro?” e ancora “I mercati come si comporteranno ora, come valuteranno il sistema Italia?”.

Tutte domande legittime, per carità, per capire quello che sta succedendo nello scenario pre-elettorale che si sta delineando.
Peccato che siano domande lontane anni luce dai problemi veri. I problemi di lavoratori, cassintegrati, disoccupati, studenti, famiglie che non possono più permettersi una settimana di ferie lontano da casa (dal 39,8% al 46,6%, dal 2010 al 2011), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente l’abitazione (dall’11,2% al 17,9%, in riferimento sempre allo stesso periodo), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 33,3% al 38,5%) o che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 6,7% al 12,3%).

Ma andiamo con ordine.. Stando ai dati forniti dall’Istat nel suo rapporto sui redditi e le condizioni di vita, pubblicato lunedì scorso, nel 2011 il quadro delle condizioni di reddito e di vita in Italia risulta alquanto allarmante.

Il primo dato grave che risalta subito da questa analisi riassume in sé la situazione: nel 2011 il 28,4% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020Rispetto al 2010 l’indicatore cresce di 2,6 punti percentuali a causa dall’aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2% al 19,6%) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9% all’11,1%).
E’ da tener presente che la strategia Europa 2020 è stata messa in campo dalla Commissione Europea proponendosi degli obiettivi importantissimi, come si capisce dalle parole del Presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso: “La strategia Europa 2020 punta a rilanciare l’economia dell’UE nel prossimo decennio. In un mondo che cambia l’UE si propone di diventare un’economia intelligente, sostenibile e solidale. Queste tre priorità che si rafforzano a vicenda intendono aiutare l’UE e gli Stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. In pratica, l’Unione si è posta cinque ambiziosi obiettivi – in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia – da raggiungere entro il 2020..”
A questo la Sora Lella saggiamente risponderebbe: “Annamo bene.. proprio bene!”

Ma andiamo avanti con un’altra carrellata di dati. Il rischio di povertà o esclusione sociale è più elevato rispetto a quello medio europeo (24,2%), soprattutto per la componente della severa deprivazione (11,1% contro una media dell’8,8%) e del rischio di povertà (19,6% contro 16,9%).
Il 19,4% delle persone residenti nel Mezzogiorno è gravemente deprivato, valore più che doppio rispetto al Centro (7,5%) e triplo rispetto al Nord (6,4%). Nel Sud l’8,5% delle persone senza alcun sintomo di deprivazione nel 2010 diventa gravemente deprivato nel 2011, contro appena l’1,7% nel Nord e il 3% nel Centro, aggiunge l’Istat.
Dati che si commentano da soli.
Vorremmo sottolineare un termine che forse non è perfettamente comprensibile e che viene ripetuto più volte nell’analisi fornita dall’Istat: che cosa vuol dire vivere in condizioni di severa deprivazione?
Rispondiamo citando la definizione data sempre dall’ineguagliabile strategia Europa 2020: questo indicatore descrive la situazione di persone che non possono permettersi beni considerati essenziali per condurre una vita dignitosa in Europa. Esso riflette sia la distribuzione di risorse all’interno di un paese sia le differenze negli standard di vita e nel prodotto interno lordo (PIL) pro capite in tutta Europa.

Aprite gli occhi e le orecchie perché qui si parla di beni essenziali! Non parliamo più dei servizi sociali come scuola, università, sanità, trasporti, fondamentali per una vita dignitosa, oggi sempre più devastati dalle politiche di austerità e di tagli indiscriminati. Si sta parlando dell’impossibilità per buona parte delle famiglie del nostro paese (e in particolare del Mezzogiorno) di mettere a tavola un pasto dignitoso o di permettersi di riscaldare la propria casa!

A tutto ciò bisogna aggiungere due dati ulteriori.
Il primo è quello che ha messo in luce lo stesso Enrico Giovannini, presidente dell’istituto di statistica, intervenuto a ‘L’economia prima di tutto’ su RadioUno: “I dati, già allarmanti, sul rischio povertà diffusi dall’Istat sono destinati a peggiorare nel corso dell’anno. Quei dati, non tengono conto ancora della difficile situazione del 2012”, quindi le cifre sulla situazione della povertà in Italia peggioreranno.
Quindi la fotografia fatta dall’Istat è già ampiamente sbiadita rispetto alla realtà, visto che, in un anno di recessione come è stato il 2012, le condizioni di vita della classe lavoratrice italiana sono ulteriormente peggiorate.
E poi il secondo dato, fornito ieri da Bankitalia, che chiude il cerchio e ci fa capire come stanno effettivamente le cose in questo Paese e non solo. La crisi aumenta la disuguaglianza tra le classi sociali, alla fine del 2010 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 9,4% della ricchezza complessiva, mentre il 10% più ricco aveva da solo ben il 45,9%. Il dato è contenuto nel Supplemento al Bollettino statistico della Banca d’Italia, secondo cui «la distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata».
Ma come? Non stavamo scivolando tutti nel baratro, tanto da scomodare personalità del calibro di Mario Monti? Com’è che in un paese come il nostro, che è all’ottavo posto per Prodotto Interno Lordo nella classifiche di Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, la maggior parte delle famiglie viva sulla soglia della povertà?

E’ evidente che la ricchezza a livello mondiale sia concentrata sempre nelle mani di pochi, e che nonostante la crisi questa disuguaglianza si sia accentuata sempre più.
In Italia, ad esempio, la diseguaglianza del reddito ha registrato un andamento ad U: in diminuzione dalla metà degli anni ’70 fino alla fine degli anni ’80, quando si godevano i frutti di decenni di lotte della classe lavoratrice; in aumento negli anni ‘90, con un andamento stazionario dai primi anni 2000 in poi.
La diffusione di forme contrattuali flessibili, la concorrenza dei paesi emergenti, e la bassissima dinamica della produttività hanno probabilmente spinto verso l’aumento della diseguaglianza negli anni ’90.
Siamo un paese molto ineguale. Abbiamo poveri che sono (relativamente) più poveri di quelli di altri paesi e ricchi che sono più ricchi (relativamente) rispetto ad altri paesi.

Questa è la fotografia del nostro paese nel 2011 che ci deve far riflettere ma non deprimere, anzi è giunto il momento di impiegare le nostre energie per rialzare la testa. Le politiche di tutti i governi di centro destra, di centro sinistra o tecnici che fossero, sono state tutte a scapito della classe lavoratrice e i dati che abbiamo provato ad illustrare ne sono l’ennesima riprova. E anche l’anti-berlusconismo a chiacchiere senza vere politiche vere che intacchino chi detiene davvero la ricchezza nel nostro paese non ci servono proprio a niente.
D’altronde per dirla con Brecht: “Per chi sta in alto discorrere di mangiare è cosa bassa. Si capisce: hanno già mangiato.”

Fonte: www.clashcityworkers.org

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