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Siria, le armi vengono dalla CIA

di Michele Paris

Nel conflitto siriano, gli Stati Uniti sono impegnati a livello ufficiale soltanto fornendo aiuti di natura umanitaria ai “ribelli” armati che da oltre un anno si battono per il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad. Gli sforzi sul campo da parte di Washington, tuttavia, appaiono ben più significativi e, come ha rivelato un recente articolo del New York Times, comprendono il dispiegamento di operativi CIA con il compito di facilitare il trasferimento di ingenti quantità di armi all’opposizione, alimentando la violenza in un paese ormai piombato nella guerra civile.

Il pezzo pubblicato giovedì dal quotidiano newyorchese si basa sulle rivelazioni di anonimi esponenti dell’intelligence americana e di alcuni paesi arabi, i quali descrivono come nel sud della Turchia, al confine con la Siria, siano attivi da qualche settimana svariati agenti della CIA, incaricati appunto di coordinare il traffico di equipaggiamenti militari destinati ai guerriglieri anti-Assad.

Come è risaputo da tempo, i finanziamenti per l’acquisto e la fornitura di armi – tra cui fucili automatici, granate e missili anti-carro – provengono principalmente dalla Turchia e, soprattutto, da Arabia Saudita e Qatar, cioè dai due regimi che si stanno maggiormente adoperando per rimuovere Assad per ragioni geo-strategiche.

Le fonti statunitensi del Times sostengono che il compito degli agenti della CIA sarebbe in particolare quello di evitare che le armi dirette in Siria finiscano nelle mani di gruppi integralisti o legati ad Al-Qaeda che negli ultimi mesi si sono già resi protagonisti di sanguinosi attentati nel paese.

In realtà, nonostante il sostegno pubblico al piano di pace promosso da Kofi Annan, fin dall’inizio della crisi l’amministrazione Obama ha cercato in tutti i modi di rafforzare militarmente i ribelli siriani, senza curarsi delle conseguenze in termini di violenza, e perciò il ricorso ai servizi della principale agenzia di intelligence a stelle e strisce appare come un modo più affidabile per assicurare l’afflusso di armi all’opposizione tramite i più fedeli alleati di Washington nella regione.

Quella rivelata giovedì dal New York Times è probabilmente una delle più importanti prove pubblicate finora da una testata “mainstream” del crescente impegno USA in Siria e conferma come gli americani intendano muoversi verso una qualche forma di intervento armato esterno per risolvere il conflitto.

Al di là delle dichiarazioni pubbliche, infatti, l’assistenza ai ribelli siriani da parte statunitense risulta sempre maggiore. Nello stesso articolo del Times, ad esempio, i membri dell’intelligence intervistati hanno aggiunto che la Casa Bianca sta valutando anche la fornitura ai ribelli di immagini satellitari e altre informazioni sulle posizioni e i movimenti delle forze di sicurezza di Damasco, nonché l’appoggio per creare un “rudimentale servizio di intelligence”.

Tali progetti dimostrano, se mai fosse necessario, come gli Stati Uniti abbiano da tempo preso le parti dell’opposizione in un conflitto che poco o nulla ha ormai a che vedere con la lotta per la democrazia in Siria e che appare invece sempre più uno scontro di natura settaria, sfruttato dalle potenze regionali e mondiali per avanzare i propri interessi strategici in Medio Oriente.

L’impegno degli USA in Siria, oltretutto, contraddice anche quanto sostengono gli ambienti delle Nazioni Unite responsabili della missione degli osservatori, sospesa qualche giorno fa proprio a causa dell’aggravarsi delle violenze. Annan, l’attuale segretario generale, Ban Ki-moon, e i vertici della missione in Siria si appellano infatti puntualmente a entrambe le parti del conflitto per porre fine alle violenze. Washington, invece, continua ad accusare unicamente Damasco per il deteriorarsi della situazione nel paese, dipingendo tutta l’opposizione al regime come civili disarmati sottoposti ad una spietata repressione.

L’articolo del Times che rivela la presenza della CIA in Turchia è apparso inoltre pochi giorni dopo la polemica sollevata dal Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, con il governo russo, accusato senza fondamento di fornire nuovi elicotteri da combattimento ad Assad. Le pressioni su Mosca sono proseguite anche questa settimana dopo l’incontro di lunedì tra Obama e Putin a Los Cabos a margine del fallimentare G20 messicano. Qui, il vice consigliere per la sicurezza nazionale, Benjamin Rhodes, ha infatti ribadito che gli USA “vogliono che la vendita di armi al regime di Assad abbia termine”, con un evidente riferimento alla Russia.

Dichiarazioni simili intendono alimentare una campagna mediatica volta ad isolare il Cremlino e indicarlo come il principale ostacolo alla risoluzione della crisi siriana. Nel frattempo, però, dietro le quinte gli Stati Uniti e i loro alleati continuano a fare in modo che i ribelli anti-Assad siano ben armati e intensifichino le loro operazioni, contribuendo così in maniera determinante a gettare il paese nel caos.

D’altra parte, a differenza di quanto riportato quotidianamente dai principali media occidentali, l’aumentato livello delle violenze in Siria da qualche mese a questa parte non è dovuto alla repressione da parte del regime di un movimento democratico dirompente, bensì appare la diretta conseguenza della maggiore intraprendenza dei gruppi di opposizione grazie alla disponibilità di armamenti letali, ottenuti con le modalità descritte ieri dal New York Times.

Che le cose stiano in questo modo lo confermano ormai apertamente anche gli stessi membri dell’opposizione, come ad esempio quelli del Consiglio Nazionale Siriano, alcuni dei quali hanno affermato allo stesso giornale americano che “i sempre più intensi assalti aerei e con l’artiglieria da parte del governo sono dovuti alla necessità di contrastare i progressi fatti dalle forze di opposizione in termini di coordinamento, tattica e disponibilità di armamenti”.

Fonte: www.altrenotizie.org

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