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Una bella giornata di lotta. Questa è la crisi signori, non la potete nascondere

E’ stata una splendida giornata di lotta quella di oggi. Una di quelle in cui rivedi in piazza le facce dei lavoratori e senti parole che parlano della condizione reale della gente. E’ stato così nel Sulcis, a Genova, a Trieste, a Pomigliano, perfino a Firenze, dove la protesta è stata anche di chi è senza casa. Cento piazze che non hanno soltanto detto di no all’austerità, ma hanno preteso una soluzione alla crisi. La situazione è allo stremo. Più di quanto non dicano i numeri del Censis, dell’Istat e dell’Ufficio studi di Confindustria. Ci sono previsioni di alcuni istituti bancari che parlano di una recessione doppia di quella dichiarata.

Mentre la politica si balocca con primarie, improbabili riforme elettorali, e la ricostruzione del disciolto partito del predellino (meno male che ci risparmiano il processo Ruby!) la situazione del paese sta precipitando ad una velocità che è doppia di quella di un anno fa. E la vicenda della Grecia sta lì a dimostrare (l’ha detto perfino l’Fmi, se vi fosse sfuggito) che la strada dei tagli è impraticabile come pretende la Troika. Nonostante tutto i partiti che impugnano saldamente il manganello della maggioranza parlano d’altro. Un ridicolo Pd, che continua ad avere l’ossessione centrista, sventola il vessillo degli esodati come fosse una straordinaria vittoria. E’ paradossale, hanno solo limitato i danni di una pattuglia di guastatori che stava cercando di mettere in discussione diritti acquisiti. Vorrei timidamente ricordare a lor signori che se proprio gradiscono trastullarsi in badierine e medagliette ci sarebbe da tamponare la questione dei malati Sla che è di nuovo tornata alla ribalta (per la povera gente s’intende) dopo le false promesse di Elsa Piagnisteo Fornero. Questi che sono figliastri della Repubblica, o cosa?

L’Italia con la giornata di oggi ha finalmente rotto quella minorità che l’ha segnata dall’inizio del movimento degli indignados e di piazza Syntagma. Anche il Bel Paese ha scoperto di avere una opposizione. Un dato su tutti: lo sciopero ha avuto una adesione del 50%, dati Cgil. Di solito in queste occasioni le cifre sono più alte. Cosa sta accadendo? Perché le piazze erano stracolme e i luoghi di lavoro non proprio deserti? E’ semplice, a scendere in piazza sono stati gli arrabbiati, quelli che stanno vivendo la crisi sulla pelle, perché sono i “senza” e non trovano nessun punto di riferimento. Si può disquisire sulla compattezza o sulla direzione che sta prendendo il movimento, per carità. Una cosa è certa, la politica e il sindacato hanno un problema in più. La politica, perché è messa di fronte alla rabbia. Si pensa di rispondere con la solita repressione rischiando il bagno di sangue? Il sindacato perché deve costruire una piattaforma degna di questo nome e non quattro parole messe in croce che alludono a una rivendicazione. Problemi non da poco. Come disinnescano la “bomba Fiat”? Ancora con il silenzio? Come farà la Camusso, che tra poco firmerà un pessimo patto sulla produttività in cui c’è l’abolizione di fatto del contratto nazionale, a dire a Confindustria che è venuto il momento di investire e non di “macinare parole con le parole”? Non ci sarà nessuna risposta a queste domande. E’ bene saperlo. E non ci sarà per il semplice motivo che fino ad oggi la Cgil ha adottato una politia di limitazione dei danni di fronte all’impetuosità di una crisi che non lasciava spazi per la mediazione. Ed oggi questa impetuosità ha mosso i primi passi, che ci piaccia o no. E’ facile cavarsela con i facili proclami sulla violenza (la Cgil ha prodotto un testo da manuale che sembra copiato dagli anni ’70), ma la realtà è che la protesta della gente mette a nudo l’incapacità della politica e del sindacato di dare una direzione e un senso all’uscita dalla crisi. Lo strano connubio tra sindacato e politica, poi, sta producendo solo danni. Fa specie che nessuno se ne accorga. L’argomento della sponda nel palazzo non ha senso in una situazione in cui c’è più che altro collateralità. Con la Cisl dentro il Pd, non ne parliamo. Non quando in ballo c’è il fiscal compact. Oh, pardon: i trattati internazionali. Non si può chiamare con il suo nome perché i “Fantastici 5” si arrabbiano.

Siete liberi di dire quello che vi pare sulla violenza, ma non di nascondere i problemi reali del paese. Se non sapete fare i conti con la durezza della crisi nemmeno quando questa si esprime con la rabbia e l’indignazione, cambiate mestiere. Riconoscete almeno di essere inadeguati rispetto ai compiti che la fase vi impone. In piazza ci sono gli affamati e non gli esagitati. Ci sono gli studenti che vengono dalle università di classe inventate da Gelmini e Profumo. Ci sono i disoccupati che non sanno più a che santo votarsi. Ci sono, va detto chiaramente, quelli che non ne possono più di trangugiare amianto e falsità in nome di una non meglio identificata grande opera. Ci sono le “sagome” di Taranto, che muoiono come le mosche. Ci sono i reclusi del “Kampo Fpi” di Pomigliano, che tengono la dignità con i denti e sperano giorno dopo giorno che non sia arrivato il loro turno per la “gasificazione”.

La Cgil ha prodotto un comunicato contro la violenza che è tutto da ridere. Nel tentativo di prendere la distanza sia dalla polizia che dagli studenti (incolpati di cosa, di voler arrivare a palazzo Chigi?) finisce con l’impastare la rabbia con la difesa dell’ordine democratico e via dicendo. Una litania che abbiamo già sentito da decenni.

E’ un comunicato che esprime una impotenza fuori dal comune. Nel giorno di una grande giornata di lotta il protagonista assoluto, quello che dovrebbe raccogliere i frutti della sua azione che fa? L’equilibrismo. Nessuno sta dicendo di difendere chi è andato sopra i toni. Il punto non è questo. Il punto è che la crisi non concede margini e sconti. E chi si assume la responsabilità di svolgere una funzione politica e sindacale non può nascondersi. Le mazzate forti a Roma sono arrivate perché gli studenti volevano raggiungere a mani nude palazzo Chigi? E’ una aspirazione da cui prendere le distanze? Non credo. E comunque è questo il tema su cui esprimersi. Ecco, non dire una parola su questo rappresenta una dimostrazione di impotenza davvero senza precedenti.

Fonte: www.controlacrisi.org

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