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Torna l’8 marzo di lotta. Quello delle ex S. Tecla

Slogan, denunce e anche canti in piazza Maggiore per ricordare il dramma di tante licenziate dalla casa di riposo di Este per risparmiare sul personale

ESTE. Mimose alle donne in centro storico, canti e cori in piazza e una promessa: il loro presidio non chiuderà più i battenti. È un 8 Marzo decisamente alternativo quello delle 54 lavoratrici licenziate dalla casa di riposo Santa Tecla. Ieri mattina una trentina di loro ha letteralmente occupato piazza Maggiore, trasformando la festa della donna in un vero e proprio comizio a cielo aperto contro Fondazione, Diocesi e Comune. Responsabili – a detta di queste ex lavoratrici – del ricatto occupazionale che ha tolto loro la dignità lavorativa. Le ex dipendenti hanno consegnato alcuni mazzi di mimosa alle donne in centro storico, alternando poi al microfono slogan, cori e canti di denuncia. Un’animazione che ha riecheggiato in tutto il centro, affollato dal mercato, e che non è certamente passata inosservata. A sostenere la causa di queste donne, che volontariamente non hanno accettato di partecipare alle selezioni per entrare nella cooperativa che ora gestisce i servizi socio-assistenziali nella casa di riposo, sono arrivati anche sindacato Usb, Rifondazione comunista e una rappresentanza della Electrolux di Susegana. Già ieri era arrivata la solidarietà di Sel-Lista Civica Arcobaleno. Le manifestanti hanno inoltre assicurato che il presidio permanente allestito quasi un mese fa alla rotonda di via Pra’, occupato anche durante la notte dalle ex lavoratrici, non verrà mai più smantellato, o almeno rimarrà attivo fino a che tutte le donne non verranno reintegrate al lavoro. «Per molte questo presidio è il pretesto per non perdere la testa: trovarsi senza far niente dopo quarant’anni di lavoro è psicologicamente devastante», sottolinea la portavoce Anna Pugliese. Le conferme che questo pericolo è un vero rischio non mancano: «Ho 59 anni e lavoravo in Santa Tecla da 24» confida Franca «Sono entrata grazie a un concorso pubblico e alla mobilità e ora mi sono vista proporre come unica alternativa il declassamento della mia professione in una cooperativa. Ho due figli, sono separata e non posso vendere la mia abitazione: tra un anno e mezzo perderò quel 70% di stipendio che mi viene garantito dagli ammortizzatori sociali e mi mancano più di sette anni alla pensione. Che futuro posso avere a questa età?». Un’altra testimonianza è quella di Patrizia, 55 anni e tre figli: «Sono stata offesa due volte: sia per il licenziamento in sé e sia perché sono stata considerata in esubero dopo che nel 2008, due anni dopo la mia assunzione a tempo indeterminato come addetta alle pulizie, sono stata obbligata a frequentare il corso per oss. Tra bocciatura, tirocini e lezioni ho ottenuto la qualifica nel 2011: poco dopo sono stata considerata di troppo! La mia fatica e il mio impegno nessuno li ha considerati? Fatto sta che ora ho un marito camionista alle prese con la crisi del settore, con tre figli da sostenere, finanziamenti richiesti quando le prospettive erano ben altre e uno stipendio in meno». E per la settimana prossima lavoratrici e Usb pensano anche a un esposto contro i conti della Santa Tecla.

 

Fonte: Il Mattino di Padova

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  1. Gabriele Raise