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La resistenza comunista nella Germania nazista

Fonte: http://www.overleft.it/index.php?option=com_content&view=article&id=135:la-resistenza-comunista-in-germania&catid=42:segnalazioni&Itemid=96

di Franco Romanò

La Resistenza comunista in Germania durante il nazismo, fu ampia e importante nonostante il tentativo da parte della storiografia occidentale di negarne addirittura l’esistenza. Il libro di Derbent è un primo passo per colmare il vuoto e ricostruirne il percorso politico e militare.

The Communist Resistence in Germany, during Nazi rule, was wide and important, in spite of the the effort made by Western historicians, to negate its own existence. The book written by Derbent is an initial step to fill the gap and try to reconstruct its political and military run.

Der kommunistische Widerstand in Deutschland während der NS-Zeit war umfangreich und wichtig, trotz des Versuchs der westlichen Geschichtsschreibung, sogar die Existenz zu leugnen. Das Buch von Derbent ist ein erster Schritt, um die Lücke zu füllen und den politischen und militärischen Lauf wiederherzustellen.

L’agile libro di T. Derbent, Resistenza comunista in Germania, 1933-1945, Zambon editore, è un’opera meritoria perché squarcia il velo che ricopre una pagina di storia che ancora stenta a venire alla luce. Questo stesso libro rischia di essere travolto, se il silenzio continuerà, perché, pur importante, il testo ha anche degli evidenti limiti: se altri storici non raccoglieranno il testimone e non continueranno la ricerca, superando anche le lacune di questo primo passo, è facile che tutto ricada nell’oblio.

Il titolo del libro indica didascalicamente che si tratta della resistenza che il KPD, il partito comunista tedesco clandestino, ha condotto in Germania e nei paesi occupati dalle forze naziste, dalla fondazione del Terzo Reich fino alla sua caduta, con episodi di incredibile eroismo e abnegazione, pagate al prezzo di torture ed eccidi. L’autore del libroè comunista, anziTedeschi_antifascisti marxista leninista, sembra di capire: lo si intuisce anche dal modo in cui rimane legato alla polemica degli anni ’30 rispetto al ruolo della socialdemocrazia. Una delle pecche del libro è di non riportare la biografia dello scrivente, di cui si trovano tracce solo in Wikipedia, quasi sempre in francese.

Quello che emerge dalla sua ricostruzione, tuttavia, è che la resistenza comunista  al Terzo Reich è stata capillare, continua nel tempo, niente affatto marginale, tanto da preoccupare assai i servizi di sicurezza nazisti. Ciò che più sorprende è che tale resistenza sembra nascere dalle proprie ceneri ogni volta che l’apparato repressivo riusciva (e accadeva molto spesso), a smantellare una cellula o un gruppo.

Allo scoppio della guerra, inoltre, il KPD riuscì persino a formare veri e propri battaglioni combattenti a fianco delle resistenze dei paesi occupati: tracce di partigiani tedeschi si trovano ovunque, anche in Italia, ma specialmente nelle retrovie sovietiche, in Slovacchia, Polonia, Belgio, Francia. 5.000 tedeschi, infine, combatterono a fianco della Repubblica nella Guerra di Spagna, dove ne morirono 2.000.

Il libro si serve delle documentazioni ritrovate negli archivi della ex DDR e le confronta (non sempre), con i dati presenti negli archivi occidentali, quasi tutti francesi. Ciò che emerge, anche limitandosi

ai casi in cui le fonti si integrano e dove il riscontro si trova addirittura negli archivi riservati del Terzo Reich e dunque in documenti non sospetti, è sufficiente per dire che la scomparsa della resistenza dei comunisti tedeschi al nazismo è un vero e proprio buco nero della storiografia ufficiale occidentale, compreso Shirer, che dedica un numero spropositato di pagine alla Rosa Bianca, la cui azione fu del tutto ininfluente, ma sapientemente gonfiata dalle forze alleate per ragioni propagandistiche, mentre dedica poche righe alla resistenza comunista, protagonista di numerosi sabotaggi, danneggiamenti della macchina bellica, fino a vere e proprie insurrezioni nei campi di concentramento.

La resistenza inizia subito dopo la presa del potere da parte di Hitler e la cifra dei deportati, dei processati e dei fucilati e torturati è enorme: la documentazione sulla prima fase della repressione, quella che va dal ’33 al ’34, è, tuttavia, nota e documentata, per cui non mi soffermo su di essa. È interessante, invece, capire cosa sia successo dopo, dal momento che la storiografia ufficiale avalla l’immagine di una resistenza comunista totalmente debellata dopo il 1934.

Nel biennio 1935-36 la Gestapo presumeva l’esistenza di 5.708 centri clandestini di diffusione di volantini e stampa anti nazista, mentre nel corso del solo 1941, la polizia politica arrestò 11.405 oppositori di sinistra, nella stragrande maggioranza comunisti.

Tutto questo è stato dimenticato, mentre è stata data un’importanza enorme ai 17 attentati a Hitler, di cui nessuno andato in porto, tranne uno, quello del maggiore Stauffenberg, che ci è stato riproposto in numerosi film, ma che, in definitiva, provocò al Führer una ferita al braccio.

Soltanto la resistenza dei Testimoni di Geova (10.000 arresti e 1.200 assassinati), si avvicina per dimensione numerica a quella dei comunisti, mentre altre figure eroiche, provenienti dal mondo protestante o cattolico, brillano per il loro splendido isolamento.

Dati e cifre

Il libro, pur nelle sue poche pagine, porta molti dati, ma non sempre essi risultano facilmente controllabili, anche perché il volume non segue una cronologia sempre chiara.

Dagli archivio della Gestapo risulta che, nel 1936, furono sequestrati un milione e seicento quarantatré mila fra volantini, giornali e opuscoli comunisti: naturalmente quelli distribuiti erano molti di più. Sempre nel ’36, in un rapporto della Gestapo si legge del timore che a Berlino, dove la resistenza comunista era molto forte, bisognava prepararsi apartigiani e disertori tedeschi 1945-1fronteggiare azioni di propaganda durante le Olimpiadi. Gli scioperi operai in città, infatti, costrinsero i nazisti a concedere aumenti salariali considerevoli: la repressione si abbatté sui lavoratori alla fine dei giochi, ma non riuscì mai a domare del tutto la lotta operaia. Nel ’39 furono incarcerati per motivi politici 127.000 persone, più altri 27.000 in attesa di giudizio.

Nel ’39 il KPD poteva contare su 3.000 membri clandestini attivi all’interno dei confini del Reich, dove svolgevano attività di intelligence (famosa quella della cosiddetta Orchestra rossa), e di sabotaggio.

Gran parte delle attività della resistenza comunista durante la guerra avvenne nelle retrovie dell’esercito nazista invasore ed era coordinata da Mosca; addirittura, la difesa del Cremlino, quando sembrò imminente un’avanzata della Whermacht sulla capitale sovietica, fu affidata a una brigata internazionale di cui facevano parte russi, tedeschi e altri combattenti di diverse nazionalità.

Anche in Germania, tuttavia, con l’ingresso delle truppe alleate sul fronte occidentale, le organizzazioni di Germania libera passarono al combattimento aperto. Il 4 febbraio del ’44 Walter Ulbricht lanciava dalla radio clandestina la parola d’ordine dell’insurrezione: episodi insurrezionali si ebbero ovunque, il più importante a Lipsia, dove, all’arrivo delle forze americane, Germania Libera, che raggruppava 4.500 combattenti, in maggioranza comunisti, aveva già liberato la città e avviato la ricostruzione. Il comando americano non riconobbe il comitato di liberazione e impose un politico conservatore al municipio.

Infine, la cosa forse più sorprendente: la rete clandestina interna ai campi di concentramento. Faccio un solo esempio perché assai eclatante. A Buchenwald l’organizzazione comunista controllava tutta la rete amministrativa civile interna al campo, riuscendo a salvare da morte certa diversi reclusi, oltre che garantire cibo e altri servizi, fra cui un’assistenza medica efficiente. L’11 aprile il campo insorse e, quando arrivarono i soldati della terza armata statunitense, era già stato liberato e le SS catturate.

La testimonianza del comandante americano è fra le più probanti dell’intero libro.

Conclusioni parziali.

In attesa di altri riscontri, azzardo una prima riflessione sulla rimozione dalla storiografia ufficiale del contributo di lotta dei comunisti alla caduta del regime nazista. Essa è stata occultata per due buone ragioni: in primis perché era, per l’appunto, comunista. La seconda ragione è che per consistenza numerica e ampiezza, la sua presenza disturbava troppo la scelta ideologica dei vincitori di attribuire all’intero popolo tedesco la colpa degli orrori nazisti e che ispirò la stessa celebrazione del processo di Norimberga, che sotto altri aspetti è un vero mostro giuridico, dal momento che a giudicare i vinti era un tribunale istituito dai vincitori. Se la consistenza numerica della resistenza tedesca non raggiunge la relativa imponenza di quella italiana e francese, bisogna pur considerare che, in questo secondo caso, si trattava di due nazioni invase e lottare contro l’invasore e i quisling locali è più facile, da un punto di vista psicologico. Se poi si aggiungono ai resistenti interni al Terzo Reich, i partigiani che hanno ingrossato le fila dei combattenti anti nazisti, in particolare nell’Europa Orientale, il fenomeno della resistenza tedesca va ben oltre, per consistenza ed efficacia, la tanto sbandierata leggenda sulle ribellioni interne allo stato maggiore nazista, tanto inefficaci, quanto spesso nutrite da motivazioni tutt’altro che ideali: semmai opportunistiche, dal momento che erano in tanti ad accorgersi, senza però avere il coraggio di staccare veramente la spina, che Hitler li stava portando in un vicolo cieco.

Enfatizzare personaggi come l’Ammiraglio Canaris o Stauffenberg, fino allo stesso Rommel, costretto al suicidio di stato per salvare la propria famiglia, pur senza dimenticare la fine orribile che fu fatta loro fare, serviva a due scopi: affermare l’inconsistenza della resistenza, per avallare meglio il concetto di colpa collettiva del popolo tedesco, ma accreditare pure un altro giudizio sottilmente ancora più utile per il dopoguerra. Che se resistenza vi fu, essa si tradusse nel sussulto morale di pochi nobili aristocratici e borghesi dagli alti ideali e non fu certo sostenuta dalle forze di sinistra e dalla classe operaia. Perché poi i tedeschi occidentali abbiano avallato tale falsità e per quale motivo gli storici abbiano accettato il silenzio è questione che richiederebbe un’analisi ben più approfondita e che esula dai limiti di questa, che vuole essere una semplice segnalazione, un consiglio di lettura e uno stimolo a continuare la ricerca.

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